Guido
Cavalcanti
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Il
prof. Guido Davico Bonino introduce Guido Cavalcanti |
Giancarlo
Dettori recita |
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Veder poteste, quando v’inscontrai, quel pauroso spirito d’amore lo qual sòl apparir quand’ om si more, e ’n altra guisa non si vede mai. Elli mi fu sì presso, ch’i’ pensai ch’ell’ uccidesse lo dolente core: allor si mise nel morto colore l’anima trista per voler trar guai; ma po’ sostenne, quando vide uscire degli occhi vostri un lume di merzede, che porse dentr’ al cor nova dolcezza; e quel sottile spirito che vede soccorse gli altri, che credean morire, gravati d’angosciosa debolezza. |
Giancarlo Dettori recita |
Fresca rosa novella, piacente Primavera, per prata e per rivera gaiamente cantando, vostro fin presio mando — a la verdura. Lo vostro presio fino in gio’ si rinovelli da grandi e da zitelli per ciascuno cammino: e cantine gli augelli ciascuno in suo latino da sera e da mattino su li verdi arbuscelli. Tutto lo mondo canti, poi che lo tempo vene, sì come si convene, vostr’altezza presiata, chè siete angelicata — crïatura. Angelica sembrianza in voi, Donna, riposa; [Dio] quanto avventurosa fu la mia disianza! Vostra cera gioiosa, poi che passa e avanza natura e costumanza, ben è mirabil cosa. Fra lor le donne dea vi chiaman come siete! Tanto adorna parete ch’io non saccio contare: e chi poría pensare — oltr’a natura? Oltra natura umana vostra fina piacenza fece Dio per essenza, che voi foste sovrana: perchè vostra parvenza ver me non sia lontana, or non mi sia villana la dolce provedenza. E se vi pare oltraggio ch’ad amarvi sia dato, non sia da voi blasmato: che solo Amor mi sforza, contra cui non val forza — nè misura. |
Giancarlo
Dettori recita |
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Avete ’n vo’ li fior’ e la verdura e ciò che luce od è bello a vedere; risplende più che sol vostra figura: chi vo’ non vede, ma’ non pò valere. In questo mondo non ha creatura s’ piena di bieltà né di piacere; e chi d’amor si teme, lu’ assicura vostro bel vis’ a tanto ’n sé volere. Le donne che vi fanno compagnia assa’ mi piaccion per lo vostro amore; ed i’ le prego per lor cortesia che qual più può più vi faccia onore ed aggia cara vostra segnoria, perché di tutte siete la migliore. |
Giancarlo
Dettori recita |
In un boschetto trova’ pasturella più che la stella – bella, al mi’ parere. Cavelli avea biondetti e ricciutelli, e gli occhi pien’ d’amor, cera rosata; con sua verghetta pasturav’ agnelli; [di]scalza, di rugiada era bagnata; cantava come fosse ’namorata: er’ adornata – di tutto piacere. D’amor la saluta’ imantenente e domandai s’avesse compagnia; ed ella mi rispose dolzemente che sola sola per lo bosco gia, e disse: «Sacci, quando l’augel pia, allor disïa – ’l me’ cor drudo avere». Po’ che mi disse di sua condizione e per lo bosco augelli audìo cantare, fra me stesso diss’ i’: «Or è stagione di questa pasturella gio’ pigliare». Merzé le chiesi sol che di basciare ed abracciar, – se le fosse ’n volere. Per man mi prese, d’amorosa voglia, e disse che donato m’avea ’l core; menòmmi sott’ una freschetta foglia, là dov’i’ vidi fior’ d’ogni colore; e tanto vi sentìo gioia e dolzore, che ’l die d’amore – mi parea vedere. |
Giancarlo
Dettori recita |
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Una giovane donna di Tolosa, bell’ e gentil, d’onestà leggiadra, tanto è diritta e simigliante cosa, ne’ suoi dolci occhi, de la donna mia, ch’è fatta dentro al cor desiderosa l’anima in guisa, che da lui si svia e vanne a lei; ma tant’è paurosa, che non le dice di qual donna sia. Quella la mira nel su’ dolce sguardo, ne lo qual face rallegrar amore, perchè v’è dentro la sua donna dritta, poi torna piena di sospir nel core, ferita a morte d’un tagliente dardo che questa donna nel partir li gitta. |
Giancarlo
Dettori è attore
di prosa, televisione e cinema, oltre ad avere avuto svariate
esperienze di conduttore radiofonico ed anche protagonista di diverse
commedie e radiodrammi Rai. |
Arnoldo
Foà recita |
Perch’i’ no spero di tornar giammai, ballatetta, in Toscana, va’ tu, leggera e piana, dritt’a la donna mia, che per sua cortesia ti farà molto onore. Tu porterai novelle di sospiri piene di dogli’ e di molta paura; ma guarda che persona non ti miri che sia nemica di gentil natura: ché certo per la mia disaventura tu saresti contesa, tanto da lei ripresa che mi sarebbe angoscia; dopo la morte, poscia, pianto e novel dolore. Tu senti, ballatetta, che la morte mi stringe sì, che vita m’abbandona; e senti come ’l cor si sbatte forte per quel che ciascun spirito ragiona. Tanto è distrutta già la mia persona, ch’i’ non posso soffrire: se tu mi vuoi servire, mena l’anima teco (molto di ciò ti preco) quando uscirà del core. Deh, ballatetta, a la tu’ amistate quest’anima che trema raccomando: menala teco, nella sua pietate, a quella bella donna a cu’ ti mando. Deh, ballatetta, dille sospirando, quando le se’ presente: «Questa vostra servente vien per istar con vui, partita da colui che fu servo d’Amore». Tu, voce sbigottita e deboletta ch’esci piangendo de lo cor dolente, coll’anima e con questa ballatetta va’ ragionando della strutta mente. Voi troverete una donna piacente, di sì dolce intelletto che vi sarà diletto davanti starle ognora. Anim’, e tu l’adora sempre, nel su’ valore. |
Marco
Feroci recita |
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Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, che fa tremar di chiaritate l’âre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira! Dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare: cotanto d’umiltà donna mi pare, ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute, e la Beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose ‘n noi tanta salute, che propiamente n’aviàn canoscenza- |
Antonio
Musacchio recita |
Voi che per li occhi mi passaste ’l core e destaste la mente che dormia, guardate a l’angosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore. E’ vèn tagliando di sì gran valore, che’ deboletti spiriti van via: riman figura sol en segnoria e voce alquanta, che parla dolore. Questa vertù d’amor che m’ha disfatto da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse: un dardo mi gittò dentro dal fianco. Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto, che l’anima tremando si riscosse veggendo morto ’l cor nel lato manco |
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Da
Teatro di Calabria Digitalpoiesis"Amore e disincanto" |
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I’ vegno il giorno a te infinite volte e trovoti pensar troppo vilmente: molto mi dol de la gentil tua mente e d’assai tue vertù che ti son tolte. Solevanti spiacer persone molte, tuttor fuggivi l’annoiosa gente; di me parlavi sì coralmente, che tutte le tue rime avie ricolte. Or non ardisco per la vil tua vita far mostramento che tuo dir mi piaccia, né in guisa vegno a te che tu mi veggi. Se ’l presente sonetto spesso leggi, lo spirito noioso che t’incaccia si partirà da l’anima invilita. |
Da
Teatro di Calabria Digitalpoiesis"Amore e disincanto" |
La forte nova mia disaventura m’ha desfatto nel core onni dolce penser, ch’i’ avea, d’Amore. Disfatta m’ha già tanto de la vita, chè la gentil piacevol donna mia dall’anima destrutta s’è partita, sì ch’i’ non veggio là dov’ella sia. Non è rimaso in me tanta balìa, ch’io de lo su’ valore possa comprender nella mente fiore. Vèn, che m’uccide, un[o] sottil pensero, che par che dica ch’i’ mai no la veggia: questo [è] tormento disperato e fero, che strugg’ e dole e ’ncende ed amareggia. Trovar non posso a cui pietate cheggia, mercé di quel signore che gira la fortuna del dolore. Pieno d’angoscia, in loco di paura, lo spirito del cor dolente giace per la Fortuna che di me non cura, c’ha volta Morte dove assai mi spiace, e da speranza, ch’è stata fallace, nel tempo ch’e’ si more m’ha fatto perder dilettevole ore. Parole mie disfatt’ e paurose, là dove piace a voi di gire andate; ma sempre sospirando e vergognose lo nome de la mia donna chiamate. Io pur rimagno in tant’ aversitate che, qual mira de fòre, vede la Morte sotto al meo colore. |
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Da
Teatro di Calabria Digitalpoiesis"Amore e disincanto" |
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Biltà di donna e di saccente core e cavalieri armati che sien genti; cantar d'augilli e ragionar d'amore; adorni legni 'n mar forte correnti; aria serena quand' apar l'albore e bianca neve scender senza venti; rivera d'acqua e prato d'ogni fiore; oro, argento, azzuro 'n ornamenti: ciò passa la beltate e la valenza de la mia donna e 'l su' gentil coraggio, s' che rasembra vile a chi ciò guarda; e tanto più d'ogn' altr' ha canoscenza, quanto lo ciel de la terra è maggio. A simil di natura ben non tarda. |
Luigi
Gaggero recita |
Una figura della Donna mia s’adora, Guido, a San Michele in Orto, che di belle sembianze, onesta e pia. De’ peccatori è gran refugio e porto, e qual con devozion Lei s’umilìa, che più languisce, più n’ha di conforto; l'infermi sana e' demon caccia via, e gli occhi orbati fa vedere scorto. Sana 'n pubblico loco gran languori; con reverenza la gente la 'nchina, d[i] luminara l’adornan di fòri. La voce va per lontana camina, ma dicon ch’è idolatra i Fra Minori, per invidia che non è lor vicina. |
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Luigi
Gaggero recita |
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Era in penser d’amor quand’ i’ trovai due foresette nove. L’una cantava: «E’ piove gioco d’amore in noi». Era la vista lor tanto soave e tanto queta, cortese e umìle, ch’i’ dissi lor: «Vo’ portate la chiave di ciascuna vertù alta e gentile. Deh, foresette, no m’abbiate a vile per lo colpo ch’io porto; questo cor mi fue morto poi che ’n Tolosa fui.» Elle con gli occhi lor si volser tanto che vider come ’l cor era ferito e come un spiritel nato di pianto era per mezzo de lo colpo uscito. Poi che mi vider cos’ sbigottito, disse l’una, che rise: «Guarda come conquise forza d’amor costui!» L’altra, pietosa, piena di mercede, fatta di gioco in figura d’amore, disse: «’L tuo colpo, che nel cor si vede, fu tratto d’occhi di troppo valore, che dentro vi lasciaro uno splendore ch’i’ nol posso mirare. Dimmi se ricordare di quegli occhi ti puoi». Alla dura questione e paurosa la qual mi fece questa foresetta, i’ dissi: «E’ mi ricorda che ’n Tolosa donna m’apparve, accordellata istretta, Amor la qual chiamava la Mandetta; giunse sì presta e forte, che fin dentro, a la morte, mi colpîr gli occhi suoi». Molto cortesemente mi rispuose quella che di me prima avëa riso. Disse: «La donna che nel cor ti pose co la forza d’amor tutto ’l su’ viso, dentro per li occhi ti mirò sì fiso, ch’Amor fece apparire. Se t’è greve ’l soffrire, raccomàndati a lui». Vanne a Tolosa, ballatetta mia, ed entra quetamente a la Dorata, ed ivi chiama che per cortesia d’alcuna bella donna sie menata dinanzi a quella di cui t’ho pregata; e s’ella ti riceve, dille con voce leve: «Per merzé vegno a voi». |
Luigi
Gaggero recita |
Donna me prega, - per ch'eo voglio dire d'un accidente, - che sovente - è fero ed è si altero - ch'è chiamato Amore: sì chi lo nega - possa 'l ver sentire! Ed a presente - conoscente - chero, perch'io no spero - ch'om di basso core a tal ragione porti canoscenza: ché senza - natural dimostramento non ho talento - di voler provare là dove posa, e chi lo fa creare, e qual sia sua vertute e sua potenza, l'essenza - poi e ciascun suo movimento, e 'l piacimento - che 'l fa dire amare, e s'omo per veder lo pò mostrare. In quella parte - dove sta memora prende suo stato, - sì formato, - come diaffan da lume, - d'una scuritate la qual da Marte - vène, e fa demora; elli è creato - ed ha sensato - nome, d'alma costume - e di cor volontate. Vèn da veduta forma che s'intende, che prende - nel possibile intelletto, come in subietto, - loco e dimoranza. In quella parte mai non ha posanza perché da qualitate non descende: resplende - in sé perpetual effetto; non ha diletto - ma consideranza; sì che non pote largir simiglianza. Non è vertute, - ma da quella vène ch'è perfezione - (ché si pone - tale), non razionale, - ma che sente, dico; for di salute - giudicar mantene, ch la 'ntenzione - per ragione - vale: discerne male - in cui è vizio amico. Di sua potenza segue spesso morte, se forte - la vertù fosse impedita, la quale aita - la contraria via: non perché oppost' a naturale sia; ma quanto che da buon perfetto tort'è per sorte, - non pò dire om ch'aggia vita, ché stabilita - non ha segnoria. A simil pò valer quand'om l'oblia. L'essere è quando - lo voler è tanto ch'oltra misura - di natura - torna, poi non s'adorna - di riposo mai. Move, cangiando - color, riso in pianto, e la figura - co paura - storna; poco soggiorna; - ancor di lui vedrai che 'n gente di valor lo più si trova. La nova- qualità move sospiri, e vol ch'om miri - 'n non formato loco, destandos' ira la qual manda foco (Imaginar nol pote om che nol prova), né mova - già però ch'a lui si tiri, e non si giri - per trovarvi gioco: né cert'ha mente gran saver né poco. De simil tragge - complessione sguardo che fa parere - lo piacere - certo. Non pò coverto - star, quand’ è sì giunto. Non già selvagge - le bieltà son dardo, che tal volere - per temere - è sperto. Consiegue merto - spirito ch’è punto! E non si pò conoscer per lo viso compriso - bianco in tale obietto cade; e, chi ben aude, - forma non si vede: dunqu’elli meno, che da lei procede. For di colore, d’essere diviso, assiso - in mezzo scuro, luce rade. For d’ogne fraude - dico, degno in fede, che solo di costui nasce mercede! Tu puoi sicuramente gir, canzone, là ’ve ti piace, ch’io t’ho sì adornata ch’assai laudata - sarà tua ragione da le persone - ch’hanno intendimento. Di star con l’altre tu non hai talento. |
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Luigi
Gaggero recita |
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Noi siàn le triste penne isbigotite, le cesoiuzze e ’l coltellin dolente, ch’avemo scritte dolorosamente quelle parole che vo’ avete udite. Or vi diciàn perché noi siàn partite e siàn venute a voi qui di presente: la man che ci movea dice che sente cose dubbiose nel core apparite; le quali hanno distrutto sì costui ed hannol posto sì presso a la morte, ch’altro non n’è rimaso che sospiri. Or vi preghiàn quanto possiàn più forte Che non sdegn[i]ate di tenerci noi, tanto ch’un poco di pietà vi miri. |
Luigi
Gàggero
è un artista
poliedrico; percussionista, direttore d'orchestra e docente accademico
italiano che ha lavorato a livello internazionale. È il direttore
principale della Kyiv Symphony Orchestra. Sono disponibili su Youtube molte altre sue letture delle rime di Guido Cavalcanti. |
Sergio
Carlacchiani recita |
Tu m’hai sì piena di dolor la mente, che l’anima si briga di partire, e li sospir’ che manda ‘l cor dolente mostrano agli occhi che non può soffrire. Amor, che lo tuo grande valor sente, dice: “E’ mi duol che ti convien morire per questa fiera donna, che nïente par che piatate di te voglia udire”. I’ vo come colui ch’è fuor di vita, che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia fatto di rame o di pietra o di legno, che si conduca sol per maestria e porti ne lo core una ferita che sia, com’egli è morto, aperto segno. |
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Sergio
Carlacchiani recita |
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Li mie’ foll’occhi, che prima guardaro vostra figura piena di valore, fuor quei che di voi, donna, m’acusaro nel fero loco, ove ten corte Amore, e mantinente avanti lui mostraro ch’io era fatto vostro servidore; per che sospiri e dolor mi pigliaro, vedendo che temenza avea lo core. Menarmi tosto sanza riposanza in una parte, là ’v’i’ trovai gente che ciascun si doleva d’Amor forte. Quando mi vider, tutti con pietanza dissermi: «fatto se’ di tal servente che mai non dei sperare altro che morte». |
Sergio
Carlacchiani recita |
Pe’
gli occhi fere un spirito sottile, che fa in la mente spirito destare, dal qual si move spirito d’amare, e ogn’altro spiritel si fa gentile. Sentir non po’ di lui spirito vile, di cotanta virtù spirito appare: quest’è lo spiritel, che fa tremare lo spiritel, che fa la donna umile. Poi da questo spirito si move un altro dolce spirito soave, che segue un spiritello di mercede, lo quale spiritel spiriti piove; che di ciascuno spirit’à la chiave per forza d’uno spirito che ’l vede. |
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Sergio
Carlacchiani è attore e artista
poliedrico. Nato a Macerata nel 1959, oltre che attore è anche regista,
doppiatore e poeta. Sono disponibili su Youtube molte altre sue letture di vari poeti. |
Raccolta delle principali immagini di Guido
Cristofano
dell'Altissimo anno 1552 Firenze - Galleria degli Uffizi L'opera fa parte dei 280 ritratti di personaggi famosi della collezione di Paolo Giovio a Como che l'autore copiò per Cosimo I. |
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Opera attribuita a
Antonio Maria Crespi anni 1613-1621 Milano - Biblioteca Ambrosiana |
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Giovanni
Masoni anno 1761 Serie di ritratti d'uomini illustri toscani |
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Da "Rime di Guido
Cavalcanti edite e inedite" di Antonio Cicciaporci anno 1831 |
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Dal Web | ||
Particolare di
incisione tratto da Giorgio Vasari Guido e Dante da "Sei poeti Toscani" 1544 |
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Dal Web | ||
Guido Cavalcanti Negli albori del Dolce Stil Novo |
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Particolare da "Rime di Guido Cavalcanti edite e inedite" di Antonio Cicciaporci anno 1831 |
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Luigi Vannucchi nel
ruolo di Guido Cavalcanti da "La vita di Dante" sceneggiato RAI 1965 |
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da Guido Cavalcanti di Almerico Ribera 1911 |
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Giorgio Vasari "Sei poeti Toscani" 1544 |
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Romano Reggiani nel
ruolo di Guido Cavalcanti da "Dante" Film di Pupo Avati 2022 |
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Medaglia Guido Cavalcanti dal Web |
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Cosimo Gheri 1590
circa Guido Cavalcanti "Studiolo del pievano" Pieve di San Pancrazio San Casciano |
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Grottesche del soffitto della Galleria degli Uffizi - Firenze Toscani illustri |
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